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atto terzo. — sc. vi. 159

SCENA VI.

RICCIO, BUONO, CORBO, NEBBIA, ROSSO.


Riccio.Gli è certo un gentil giovene Filostrato,
Umano e liberal.
Bruno.                              Questi son uomini
Da servir, li qual poco ti affaticano,
E ti dan da ber molto!
Nebbia.                                          E che abbondanzia
Era di carne sopra quella tavola!
Corbo.Parliam del vino, che m’ha tocco l’anima.
Rosso.Mai non vidi il più chiaro, nè il più simile
Al topazio.
Corbo.                   Gustaste il più odorifero
O il più soave giammai?
Riccio.                                           Non sentivi tu
Come piccava e la lingua mordevati?
Corbo.Dolci quei morsi! più che i baci vagliono
Di queste bocche vermiglie di mascare.
Rosso.N’avessi io questa notte nella camera
Una guastada!
Corbo.                        Io a capo il letto un’anfora!
Riccio.Avessi pur la botte al mio dominio!
Riccio.Venisse ogni dì pur voglia ad Erofilo
Di mandarci a servirlo!
Riccio.                                         Sì, dovendoci
Sì ben trattar.
Corbo.                         Non so come si trovino
Gli altri: io, per me, mi trovo in tanto gaudio,
Che mi par non capir in me medesimo.
Rosso.Credo che ci troviamo tutti a un termine.
Nebbia.Così a un termine tutti ci trovassimo
Quando tornerà il vecchio! Concordatici
Al bere e al tracannar siamo benissimo;
Ma come il padron torna, restar dubito
Io sol che paghi lo scotto e smaltiscalo.
Corbo.Del mal, ch’ancor non hai, perchè vuoi metterti
Affanno, bestia? se non senti pungerti,
Non trar del cul. Che sai che possa nascere?
Nebbia.Io non son già nè profeta nè astrologo;