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atto primo. — sc. v. | 135 |
Mio interesse, n’avrei quella medesima
Cura c’hanno li vescovi dell’anime
Che fur da Cristo lor date in custodia.
Io venni in questa terra, oggimai passano
Tre mesi, con speranza di ben venderci
Le mie fanciulle; le qual mi parevano,
Come par tuttavía, che meritassino,
E per bellezza e per età e per grazia,
Che tutti i gentiluomini dovessino
Fare a gara d’averle, nè alcun prezio
Avesse loro a parer troppo. Trovomi
Di gran lunga ingannato. Ben mi vengono
A parlar molti, e più vecchi che giovani,
E chi vuol l’una e chi l’altra, e domandano
Del prezzo: io ’l dico loro; altri si lievano
Da partito, altri stanno un pezzo in pratica:
Mi dicono; io rispondo: al fin si accordano;
Poi quando aspetto che i danari sborsino,
Non ci hanno il modo; mi domandan termine.
Chi lo vuol fin che si tosin le pecore,
Chi fin che l’erbe o che i grani si taglino,
E chi vuol ir di là dalle vendemmie;
Nè altra cauzïone dar mi vogliono,
Che la lor fede, o di man propria farmene
Un scritto. Altrove li contanti appajono
Fatto il mercato, qui son invisibili:
Ma non però li miei. S’io vô pel vivere
Mio, pane o vino o carne, è forza mettere
Mano alla borsa, e far ch’i danar escano
E che veder si faccian. Se mi fossino
Per parole e per scritti e per promettere,
Le cose ad or ad or che mi bisognano,
Date, io sarei contento dar per simile
Prezzo, a chi le volesse, le mie femmine.
Chi credería che qui, dove è sì splendida
Corte, ove sono sì galanti gioveni,
Non si dovesse a due fanciulle, tenere
Più che latte, trovar mille ricapiti?
Io son per dir che pare a questi gioveni
Esser da tanto, che non si ritrovino
Al mondo donne le quai degne sieno
D’esser amate da loro; e vô credere,