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atto primo. — sc. iii. | 129 |
Erofilo. Deh lasciami
Finire; ascolta quel ch’io vô concludere.
Dir non ti posso ogni cosa; ma renditi
Certa e vivi sicura che più termine
Non voglio che domani, a farti libera.
Eulalia.Ancor che tu dicessi il ver (chè credere
Non posso che lo diche, pur concedere
Ti voglio che lo diche, e ch’abbi l’animo,
E che abbi il modo ancor di farlo), ch’utile,
Morta ch’io sia, mi potrai far, porgendomi
La medicina con la qual soccorrere
Non m’hai voluto mentre ho avuto l’anima
Nel corpo? Tu non sai, forse, che Lucramo
Vuol che domani ci partiam da Sibari?
Erofilo.Non credo che sia vero.
Eulalia. Perchè dirti la
Bugía vorrei?
Corisca. Noi ci partiam, credeteci.
Erofilo.Ben credo che ve l’abbia detto Lucramo,
Ma che ’l ver detto v’abbia non vô credere.
Caridoro.Erofilo, che può nuocere a credere
Che dica il ver? Veggiam se gli è possibile,
Quel che s’avea domani a far, concludere
Oggi.
Eulalia. Oh, fate veder in guisa a Lucramo
Questo che voi disegnate, che credere
Vi possa: chè ben credo io, assicurandolo
Voi che domani il danajo abbia a correre,
Si fermerà.
Erofilo. Poichè il vecchio levatomi
È d’appresso, e tener gli occhi continua-
mente non mi potrà addosso, io non dubito
Di non fare ogni cosa. Vivi, Eulalia,
Sicura che a partir non ti hai da Sibari,
E che d’altro uomo tu non sei per essere
Mai, se non mia.
Caridoro. Ed io dico il medesimo
A te, Corisca mia.
Eulalia. Dio v’oda, e facciavi
Perseverare in questa voglia, e mettere
Le parole in effetto. Bene il debito
Vostro saría d’amarci e di farci utile;