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110 | i suppositi. |
pito, e pervenne poi alle mani di Filogono; il quale da piccolino l’ha allevato, ed in compagnia e servizio del suo figliuolo l’aveva mandato in questa terra. Il più bel caso di questo non accadde mai: se ne potría fare una commedia. Egli saranno tutti qui adesso, e da loro pianamente intenderai ogni cosa.
Damone. Io voglio da Dulipo, o Erostrato che sia, tutta questa pratica intendere, prima ch’io venga con Filogono a parlamento.
Pasifilo. Sarà ben fatto, ed io anderò a fare indugiare un poco. Ma mi pare che vengano già.
SCENA VIII.
SANESE, FILOGONO e CLEANDRO.
Sanese. Non accade che meco più ti scusi; chè quando ben tu mi abbi sojato, non me ne essendo venuto peggio che parole, io ne fo pochissimo conto: anzi mi giova avere imparato senza alcun mio danno di essere un’altra volta più cauto, ed ogni cosa non credere così al primo tratto. E tanto più, sendo stata trama amorosa, leggermente e senza un minimo sdegno me ne passo. E così tu, Filogono, s’io ho fatto cosa che ti sia spiaciuta, pigliala per quella via donde è venuta.
Filogono. Io non mi doglio d’altro, se non de le parole ingiuriose che io ti ho detto.
Cleandro. Di questo è detto abbastanza, ed è superfluo ormai ogni ragionare che se ne faccia più. Verrà1 che tu per gran cosa non vorresti che fusse restato di accaderti questo inganno, o come tu ’l vuoi nominare; che ti sarà una favola piacevole da ricontare in cento luoghi. E tu credi, Filogono, che così dal cielo era ordinato; chè per altra che per questa via non era possibile che del mio Carino io avessi mai ricognizione, ne egli di me, essendo l’odio e la malivolenzia tra noi che da l’uno e da l’altro hai tu medesimo inteso.
Filogono. Io conosco che gli è come tu narri, perchè una minima foglia non credo che qua giù senza la superna volontà si muovi.2 Ma ritroviam questo Damone; chè ogni momento