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atto quinto. — sc. vii. | 109 |
SCENA VII.
PASIFILO, DAMONE.
Pasifilo. Dio, ch’io truovi Damon in casa, nè mi convenga cercarlo per tutta la terra! ed intanto altri procuri, e la nunziatura1 mi levi di mezzo. O me felice, ch’io lo vedo su la porta!
Damone. (Che nunziatura vuol da me costui?) Che t’è di ben accaduto, Pasifilo, che così lieto sei?
Pasifilo. Il tuo bene è causa de l’allegrezza mia.
Damone. Che cosa è?
Pasifilo. Io so che tu sei per caso de la tua figliuola addoloratissimo.
Damone. E quanto!
Pasifilo. Sappi che quel che t’ha fatto disonore, è figliuolo di tal uomo, che sdegnare non ti dèi che ti sia genero.
Damone. Che ne sai tu?
Pasifilo. Il padre suo, qual è Filogono di Catania, che io so che per fama de la sua ricchezza conosci, è arrivato adesso di Sicilia, ed è in casa del vicin nostro.
Damone. Di Erostrato, vuoi dire?
Pasifilo. Anzi di Dulipo. Ben avemo fin a quest’ora noi creduto che questo vicin tuo Erostrato sia, e non è; ma quel che tu hai in casa prigione, che si faceva Dulipo nominare, ha nome Erostrato, ed era padron di quest’altro, il quale è Dulipo; e sempre in questa terra s’ha fatto nominare Erostrato, acciò che, col nome di Dulipo, in abito servile comodamente facesse quello che egli ha fatto in casa tua.
Damone. Dunque non è falso quello che Polimnesta mi narrava dianzi?
Pasifilo. T’ha detto ella così ancora?
Damone. Sì, ma dubitavo che fosse una ciancia.
Pasifilo. Anzi è una verità verissima. Filogono a te verrà qui adesso, e Cleandro è con lui.
Damone. Come Cleandro?
Pasifilo. O Dio, un’altra bella istoria. Cleandro ha ritrovato che quel Dulipo che si faceva nominare Erostrato, è suo figliuolo, che alla perdita di Otranto gli fu da’ Turchi ra-
- ↑ Mancia dovuta per aver dato un lieto annunzio. Significazione che non sappiamo da verun altro usurpata.
ariosto. — Op. min. — 2. | 10 |