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atto quinto. — sc. v, vi. 107


Lico.     Io lo so, e mi lasciarei prima tagliare la gola, ch’io lo dicessi. Che non lo dice egli innanzi? e chi non s’avvederebbe ch’egli va a tentone?

Cleandro.     Il mio nome sapete voi già; la mia donna e madre di lui aveva nome Sofronia; la casata mia si chiamava della Spiaggia.

Lico.     Io non so tante cose; so ben, che dicea sua madre aver nome Sofronia: ma è un gran fatto, se egli è teco d’accordo, che ’l t’abbia del tutto informato?

Cleandro.     Non ho bisogno di più manifesti segni ormai: questo è senza alcun dubbio il mio figliuolo, che, già diciotto anni, ho perso, e mille volte ho pianto, ed aver debbo un neo di buona grandezza ne l’omero sinistro.

Lico.     Che maraviglia, se te l’ha detto, che tu lo sappi? Il neo ci ha pur troppo: così ci avesse egli...

Cleandro.     Ah, Lico, buone parole.1 Presto, andiamo a ritrovarlo. O fortuna, liberamente io ti perdono, poichè ’l mio figliuolo oggi ritrovar mi fai!

Filogono.     Ed io le sono tanto meno obbligato, che non so che del mio figliuolo sia. E tu, che per avvocato apparecchiato m’avevo, ora a favore di Dulipo ed a mio danno ti sarai tutto converso.

Cleandro.     Filogono, andiamo a parlare col mio figliuolo, chè spero che tu insieme il tuo ritroverai.

Filogono.     Andiamo.

Cleandro.     Poichè io vedo l’uscio aperto, senza chiamare o battere me ne intrarò a la domestica.

Lico.     Padrone, guarda come tu vadi qua drento; ch’io son certo che costui ha fatto questa fizione per condurti in qualche precipizio.

Filogono.     Quasi che se ’l mio figliuolo perduto fussi, io mi curassi di restare vivo!

Lico.     Io te l’ho detto; fa mo tu quel che ti piace.


SCENA VI.

DAMONE, PSITERIA.


Damone.     Vien qua, cianciera e temeraria femmina: onde ha possuto, se non da te, Pasifilo intendere questa cosa?


  1. Pare da intendersi (come ancora nel corrispondente luogo della commedia in versi): Ah Lico, usa buone parole verso quel giovane; parla, cioè, con rispetto di costui che mi è figliuolo.