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atto quinto. — sc. iv, v. | 103 |
di udire cosa ch’io dica; e si radunerà d’intorno la turba, e non piccol tumulto. Sì che, meglio è ch’io lo aspetti alquanto; e quando non torni, l’andarò poi a ritrovare.
SCENA IV.
PASIFILO, EROSTRATO.
Pasifilo. Facciasi pur, ma non si ponga al fuoco finchè non siamo per intrare a tavola, — Ogni cosa va per ordine, ma s’io non mi vi trovavo, sarebbe un gran scandalo accaduto.
Erostrato. E che cosa accadea?
Pasifilo. Dalio volea porre in un medesimo schidone a un tempo al fuoco li tordi con la lonza; avendo poca considerazione che questa tarda un pezzo, e quelli súbito si cuocono.
Erostrato. Deh, fusse questo il maggior scandolo che accadesse.
Pasifilo. E de’ duo mali non si potea fuggire l’uno. S’io gli avessi lasciati a par di quella, sì sarebbono bruciati e strutti: se gli traessi prima, li mangiaressimo o freddi o mal cotti.
Erostrato. Tu hai auto buon consiglio.
Pasifilo. Io anderò, se vuoi, a comprare de li naranci e de l’ulive, chè nulla valerebbe questo convito senza.
Erostrato. Niente ci mancarà; non ti dubitare.
Pasifilo. Costui, doppo che la cosa di Dulipo ha intesa, è tutto fantastico e bizzarro; ha tanto martello, che si crepa: ma abbilo, e crepi quanto vuole; pur ch’io ceni questa sera in casa sua, d’altro non mi cale. Ma non è quel Cleandro, che viene in qua? Or bene, in capo gli porremo il cimiero de le corna. Senza dubbio Polimnesta sarà sua; chè Erostrato, per quel che di Dulipo ha da me saputo, non la dimanderà, ne vorrà più.
SCENA V.
CLEANDRO, FILOGONO, PASIFILO e LICO.
Cleandro. Ma come mostrerai tu che costui non sia Erostrato, essendoci la publica presonzione in contrario? e come, che tu sia Filogono di Catania, quando questo altro col testi-