Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/84


canto secondo. 55


123 Per la molta bontà ch’era in effetto
E vera in Carlo, non mendace e finta,
Fu sì la forza al diavol maledetto
Dall’ajuto di Dio quivi rispinta,
Che a lui non nocque, nè, per suo rispetto,
A chi s’avea per lui la spada cinta:
Sì che mal grado dell’Inferno tutto,
Alli demonî il nido era distrutto.

124 Un fremito, qual suol dall’irate onde
Del tempestoso mar venire a’ lidi,
Cotal si udì fra le turbate fronde,
Mischio di pianti e spaventosi gridi;
Indi un vento per l’aria si diffonde,
Che ben appar che Belzebù lo guidi:
Ma nè per questo avvien ch’al saldo e fermo
Valor di Carlo abbia la selva schermo.

125 Cade l’eccelso pin, cade il funebre
Cipresso, cade il venenoso tasso,
Cade l’olmo atto a riparar che l’ebre
Viti non giaccian sempre a capo basso;
Cadono, e fan cadendo le latebre
Libero agli occhi ed alle gambe il passo:
Piangon sopra le mura i Pagan stolti,
Vedendo alli lor Dei li seggi tolti.

126 Alcun dentro ne gode, chè n’aspetta
Di veder sopra a Carlo e tutti i Franchi
Scender dal ciel così dura vendetta,
Che a seppellirli il popolo si stanchi.
Com’è troncato un arbore, si getta
Nel fiume che alla selva bagna i fianchi;
E quello, ubbidïente, ai corni sopra
Lo porta al loco ov’è poi messo in opra.

127 In questo tempo avea l’iniquo Gano,
Per dare a Carlo in ogni parte briga,
Composto il re d’Arabia e il Sorïano
Col calife d’Egitto in una liga;
E dopo il colpo per celar la mano,
In guisa d’uom che conscïenza instiga,
Per voto a cui già s’obbligasse innanti,
Era andato al Sepolcro, ai Luoghi santi.

128 Quivi da Sansonetto ricevuto,
Che da Carlo in governo avea la terra,