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32 i cinque canti.

Che cerchi i luoghi onde a temer gli accada.
Ma ciò poco gli val, che le nefande
Man della donna, e la sua propria spada
Fêr d’infinito mal tarda vendetta,
E all’inferno volò suo spirto in fretta.1

13 E Radamanto, giudice del loco,
Tutto il cacciò sotto il bollente stagno,
Dove non pianse e non gridò: i’ mi cuoco,
Come gridava ogn’altro suo compagno;
E la pena mostrò curar sì poco,
Che disse il giustiziere: io te la cagno;2
E lo mandò nelle più oscure cave,
Ov’è un martir d’ogni martir più grave.

14 Nè quivi parve ancor che si dolesse;
E domandato, disse la cagione:
Che quando egli vivea, tanto l’oppresse
E tal gli diè il Sospetto afflizïone
(Che nel capo quel giorno se gli messe,
Che si fece signor contra ragione),
Che sol ora il pensar d’esserne fuore,
Sentir non gli lasciava altro dolore.

15 Si consigliaro i saggi dell’inferno,
Come potesse aver degno tormento;
Che saría contra l’instituto eterno
Se peccator là giù stesse contento;
E di nuovo mandarlo al caldo e al verno
Concluso fu da tutto il parlamento;
E di nuovo al Sospetto in preda darlo,
Ch’entrasse in lui senza più mai lasciarlo.

16 Così di nuovo entrò il Sospetto in questa
Alma, e di sè e di lui fece tutt’uno,
Come in ceppo salvatico s’innesta
Pomo diverso, e ’l nespilo sul pruno;
O di molti colori un color resta,
Quando un pittor ne piglia di ciascuno
Per imitar la carne, e ne riesce
Un differente a tutti quei che mesce.

17 Di sospettoso che ’l tiràn fu in prima,

  1. Quanto qui segue dà chiaramente a conoscere esser questa, più ch’altro, una poetica parabola.
  2. Per cangio; come cagna per cangia nella seg. st. 45. (Barotti.) — Licenze ingrate e non imitabili.