La Crudeltade e la Rapina rea:
E quantunque in un ventre con lor giacque,
Di tormentarle mai non rimanea.
Or dirò il nome, ch’io non l’ho ancor detto;
Nomata questa pena era il Sospetto.
8 II Sospetto, peggior di tutti i mali,
Spirto peggior d’ogni maligna peste,
Che l’infelici menti de’ mortali
Con venenoso stimolo moleste;
Non le povere o l’umili, ma quali
S’aggiran dentro alle superbe teste
Di questi scellerati, che per opra
Di gran fortuna agli altri stan di sopra.
9 Beato chi lontan da questi affanni
Nuoce a nessun, perchè a nessun è odioso!
Infelici altrettanto e più i tiranni,
A cui nè notte mai nè dì riposo
Dà questa peste, e lor raccorda i danni,
E morti date o in palese o in ascoso!
Quinci dimostra che timor sol d’uno
Han tutti gli altri, ed essi n’han d’ognuno.
10 Non v’incresca di starmi un poco a udire,
Chè non però dal mio sentier mi scosto;
Anzi farò questo ch’or narro, uscire
Dove poi vi parrà che sia a proposto.
Uno di questi, il qual prima a nudrire
Usò la barba, per tener discosto
Chi gli potea la vita a un colpo tôrre,1
Nel suo palazzo edificò una torre,
11 Che, d’alte fosse cinta e grosse mura,
Avea un sol ponte che si leva e cala;
Fuor ch’un balcon, non v’era altra apertura,
Ove a pena entra il giorno e l’aria esala:
Quivi dormía la notte, ed era cura
Della moglier di mandar giù la scala:
Di quella entrata è un gran mastin custode,
Ch’altri mai che lor due non vede ed ode.
12 Non ha nella moglier però sì grande
Fede il meschin, che prima ch’a lei vada,
Quand’uno e quand’un altro suo non mande,
↑Ciò narrasi anche di Dionigi, tiranno di Siracusa. — (Molini).