3 Tal fu in terra Saturno, Ercole e Giove,
Bacco, Polluce, Osiri e poi Quirino,
Che con giustizia e virtüose prove,
E con soave e a tutti ugual domino
Fûr degni in Grecia, in India, in Roma, e dove
Corse lor fama, avere onor divino;
Che riputar non si potrían defunti,
Ma a più degno governo in cielo assunti,
4 Quando il signor è buono, i sudditi anco
Fa buoni; chè ognun imita1 chi regge:
E s’alcun pur riman col vizio, manco
Lo mostra fuor, o in parte lo corregge.
O beati li regni a chi un uom franco
E sciolto da ogni colpa abbia a dar legge!
Così infelici sono2 e miserandi,
Ove un ingiusto, ove un crudel comandi;
5 Che sempre accresca e più gravi la soma,
Come in Italia molti a’ giorni nostri,
De’ quali il biasmo in questo e in altro idioma
Faran sentir anco i futuri inchiostri;
Che migliori non son che Gaio a Roma,
O Neron fosse, o fosser gli altri mostri:3
Ma se ne tace, perchè è sempre meglio
Lasciar i vivi, e dir del tempo veglio.
6 E dir qual sotto Fallari Agrigento,
Qual fu sotto i Dionigi Siracusa,
Qual Tebe in man del suo tiran cruento;4
Dai quali e senza colpa e senza accusa
La gente ogni dì quasi a cento a cento
Era troncata,5 o in lungo esiglio esclusa.
Ma nè senza martír sono essi ancora,
Chè al cor lor sta non minor pena ognora.
7 Sta lor la pena della qual si tacque
Il nome dianzi, e della qual dicea
Che nacque quando la brutt’Ira nacque,
↑Come gl’Italiani proferiscono edúca ed éduca, così all’Ariosto piacque, per comodità del metro, rinnovare in questo verbo il suono usato dai Latini.
↑Parrebbe da questo passo, che il concetto dei contemporanei intorno ai principi italiani dei tempi dell’Ariosto, foss’anche peggiore di quello che le storie ci tramandarono.