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26 i cinque canti.

Come di re da cui sempre negletta
La gloria fu di tutto il mio lignaggio,
E che, per sempre al cor tenermi un telo,
Con favor alza i miei nemici al cielo.

97 Il mio figliastro Orlando, che mia morte
Procurò sempre e ad altro non aspira,
Contra me mille volte ha fatto forte;
Per lui m’ha mille volte avuto in ira:
Rinaldo, Astolfo ed ogni suo consorte,
Di giorno in giorno a maggior grado tira;
Tal che sicuro, per lor gran possanza,
Non che in corte non son, ma nè in Maganza.

98 Or, per maggior mio scorno, un fuggitivo
Dell’infelice1 figlio di Trojano,
Ruggier, che m’ha un fratel di vita privo
Ed un nipote con la propria mano,
Tiene in più onor che mai non fu Gradivo
Marte tenuto dal popol romano:
Tal che levato indi mi son, con tutto
Il sangue mio, per non restar distrutto.

99 Se me e quest’altri che avete qui meco,
Che sono il fior di casa da Pontiero,2
Uccidete o dannate a carcer cieco,
Di perpetuo timor sciolto è l’impero;
Che ogni nemico suo ch’abbia noi seco,
Per noi può entrar in Francia di leggiero;
Chè ci avemo la parte in ogni terra,
Fortezze e porti e luoghi atti a far guerra. —

100 E seguitò il parlare astuto e pieno
Di gran malizia, sempre mai toccando
Quel che vedea di gaudio empierle il seno,
Che le vuol dar Ruggier preso ed Orlando.
Alcina ascolta, e ben nota il veleno
Che l’Invidia in lui sparse, ir lavorando:
Comanda allora allora che sia sciolto,
E sia con tutti i suoi di prigion tolto.

101 Volse che poi le promettesse Gano,
Con giuramenti stretti e d’orror pieni,
Di non cessar, fin che legato in mano

  1. L’ediz. del Molini: «Del sfortunato.»
  2. La Moliniana: «di Pontiero.»