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sonetti. 473

II.1


     Felice stella, sotto cui ’l sol nacque
Che di sì ardente fiamma il cor m’accese;
Felice chiostro, ove i bei raggi prese
4Il primo nido in che nascendo giacque!
     Felice quell’umor che pria gli piacque,
Il petto onde l’umor dolce discese;
Felice poi la terra in che il piè stese,
8Beò con gli occhi il fôco, l’aere e l’acque!
     Felice patria che, per lui superba,
Coll’India e con il ciel di par contende;
11Più felice che ’l parto chi lo serba!
     Ma beato chi vita da quel prende,
E nel bel lume morte disacerba,
14Ch’un molto giova, e l’altro poco offende!2




III.3


     Quell’arboscel che in le solinghe rive
All’aria spiega i rami orridi ed irti,
E d’odor vince i pin, gli abeti e i mirti,
4E lieto e verde al caldo e al ghiaccio vive;
     Il nome ha di colei che mi prescrive
Termine e leggi a’ travagliati spirti,
Da cui seguir non potran Scille o Sirti
8Ritrarmi, o le brumali ore o le estive.
     E se benigno influsso di pianeta,
Lunghe vigilie od amorosi sproni
11Son per condurmi ad onorata mèta;
     Non voglio (e Febo e Bacco mi perdoni)
Che lor frondi mi mostrino poeta,
14Ma che un ginebro sia che mi coroni.




  1. Mal c’indaciamo a credere dell’Ariosto ancora questo sonetto, in cui desiderarono maggior chiarezza anche tutti i precedenti annotatori. Il Molini lo crede composto a nome di una donna.
  2. Il Pezzana legge: e l’altra; spiegando: «un, cioè il lume; l’altra, cioè la morte.»
  3. Questo felice componimento dovrebbe, naturalmente, appartenere a quel medesimo che scrisse la canzone V tra le attribuite al nostro poeta.

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