Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/490


canzoni. 461

— Diva Ippolita1 mia, chè non sei meco?
Tu dal mio bel sereno
155Sei lunge, e tu, Sardanapalo, il godi. —
Piangon le rive seco;
E tu tel vedi, o sole;
E tu il sostieni, o cieco,
Vôto d’ogni valor, mondo: sì involto
160T’ha questa Babilonia in sì bei nodi!
Orbo mondo, se falli, il Cielo il vuole;
Ch’egli è oscurato il sole.




III.2


     Amor, da che ti piace
Che la mia lingua parle
Della sola beltà del mio bel sole;
Questo a me non dispiace,
5Pur che tu voglia darle
A tant’alto soggetto alte parole,
Che accompagnate o sole
Possano andar volando
Per bocca delle genti;
10E con soavi accenti,
Mille belle virtù di lei narrando,
Faccian per ogni côre
Nascer qualche desío di farle onore.
     Sai ben che non poss’io
15Parlarne per me stesso,
Chè la mia mente pur non la comprende;
Perch’ella è, come un Dio,
Da tutto il mondo espresso,
Ma non inteso, e sol sè stesso intende:
20Il suo bel nome pende
Prima dal suo bel viso,
E dai celesti lumi


  1. Ippolita, pronipote di Lodovico Sforza, e moglie di Alessandro Bentivoglio, ne’ suoi dì lodatissima. Il diva ed il mia farebbero pensare al Bandello, che di lei fu amante poetico e iperbolico encomiatore.
  2. Rimane ignota la gentildonna per la quale fa scritta questa Canzone. Il Barotti avverte ch’essa trovasi stampata, con poche e poco notabili differenze, tra le rime del Trissino, e si desidera nei manoscritti dell’Ariosto.

39°