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canzoni. 455

     Io sperai ben di questo carcer tetro
Che qui mi serra, ignuda anima sciôrme,
E correr dietro all’orme
Delli tuoi santi piedi, e teco farmi
65Delle belle una in ciel beate forme;
Ch’io crederei, quando ti fossi dietro,
E insieme udisse Pietro
E di fede e d’amor da te lodarmi,
Che le sue porte non potría negarmi.
70Deh! perchè tanto è questo corpo forte,
Che nè la lunga febbre, nè il tormento
Che maggior nel cor sento,
Potesse trarlo a desïata morte?
Sicchè lasciato avessi il mondo teco,
75Che senza te, ch’eri suo lume, è cieco.
     La cortesia e ’l valor che stati ascosi,
Non so in quali antri e latebrosi lustri,1
Eran molti anni e lustri,
E che poi teco apparvero; e la speme
80Che ’n più matura etade all’opre illustri
Pareggiassero i Publî e Gnei famosi
Tuoi fatti glorïosi,2
Sicch’a sentire avessero l’estreme
Genti ch’ancor viva di Marte il seme;
85Or più non veggio: nè da quella notte
Ch’agli occhi mi lasciasti un lume oscuro,
Mai più veduti fûro;
Chè ritornaro a loro antiche grotte,


  1. Due latinismi egualmente degni di osservazione, perocchè scarsi d’esempi. E ben l’autore di questa elegantissima poesia, quand’anche l’Ariosto non fosse, meritar può gli onori del Vocabolario.
  2. Il Barotti riprodusse, lodandolo, questo componimento dalle Rime aggiunte nella stampa dell’Orlandini. Quanto alla persona per la quale potè esser fatto, andò vagando col pensiero fra i tre illustri capitani del sangue dei Colonna morti dal 1520 al 1523; Fabrizio, Marc’Antonio e Prospero. Al più vecchio ed all’ultimo dei mancati parevagli che meglio si confacessero i lamenti di Roma piangente l’ultima sua ruina; lamenti ingiuriosi verso i superstiti, quando a Fabrizio in ispezie dovessero applicarsi. Dall’altra parte, queste parole Che ’n più matura etade all’opre illustri Pareggiassero i Publî ec., chiaramente allusive ad un giovane (a cui possono aggiungersi le altre della stanza 4a: Contamina e dissolve Le delicate alabastrine membra), facevano propendere per Marc’Antonio, «che in età assai più fresca passò all’altra vita,» e dal Guicciardini è chiamato «capitano di grandissima aspettazione.» Nella quale incertezza, voleva egli stesso che le sue riflessioni si avessero in luogo di «mêre congetture.»