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454 | canzoni. |
A me, cui già mirando, ti credesti
20Dì spender ben tutte le notti e i giorni:
E se ’l levargli alla superna altezza
Ti leva ogni vaghezza
Di quanto mai quaggiù più caro avesti,
La pietà almen cortese mi ti presti,
25Che ’n terra unqua non fu da te lontana;
Ed ora io n’ho d’aver più chiaro segno,
Quando nel divin regno,
Dove senza me sei, n’è la fontana.
S’amor non può, dunque pietà ti pieghi
30D’inchinar il bel guardo ai giusti preghi.
Io sono, io son ben dessa. Or vedi come
M’ha cangiato il dolor fiero ed atroce,
Che a fatica la voce
Può di me dar la conoscenza vera!
35Lassa! ch’al tuo partir partì veloce
Dalle guance, dagli occhi e dalle chiome,
Questa a cui davi nome
Tu di beltade, ed io ne andava altera,
Chè mel credéa, poichè in tal pregio t’era.
40Ch’ella da me partisse allora, ed anco
Non tornasse mai più, non mi dà noja;
Poiché tu, a cui sol gioja
Di lei dar intendéa, mi vieni manco.
Non voglio, no, s’anch’io non vengo dove
45Tu sei, che questo od altro ben mi giove.
Come possibil è, quando sovviémme
Del bel guardo soave ad ora ad ora,
Che spento ha sì breve ora,
Ond’è quel dolce e lieto riso estinto,
50Che mille volte non sia morta, o môra?
Perchè, pensando all’ostro ed alle gemme
Ch’avara tomba tiêmme,
Di ch’era il viso angelico distinto,
Non scoppia il duro côr dal dolor vinto?
55Com’è ch’io viva, quando mi rimembra
Ch’empio sepolcro e invidïosa polve
Contamina e dissolve
Le delicate alabastrine membra?
Dura condizïon, che morte, e peggio
60Patir di morte, e insieme viver deggio!