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elegie. | 447 |
Ma nuova voglia ancor resta nel côre,
E senza mai provar pravo tormento,1
18Con certo non so che lieto dolore.
E bench’io sia tra gli altri il più contento,
Pur bramo anch’io, bench’io nol sappia dire;
21E così, il più felice e più contento,
Se altro bramar non so, bramo morire.
IV.2
Non è più tempo omai sperar ch’io pieghi
Un’alma altiera, un’indurata spoglia,
3Con lunga servitù, con lunghi preghi:
Ma ben temp’è sperar che un sdegno scioglia
Il laccio in che mi prese, e, preso, a lei
6Mi diede Amor, con mia perpetua doglia.
Non è più tempo ch’al bel viso, a’ bei
Sembianti, all’accoglienze belle io vôlti
9Quest’incarcati e crudeli occhi miei:
Ma ben temp’è mirar che se raccolti
Son i costumi in lei degni di loda,
12Degni di biasmo ancor ve ne son molti.
Non è più tempo che ’l parlar dolce oda,
Che mai con l’intenzion non si conforma;
15Nè temp’è più che di lusinghe io goda:
Ma temp’è da dar fede a chi m’informa
Qual sia la falsitade e qual il vero,
18E ch’ire a miglior via m’insegna l’orma.
Non è più tempo star in quel pensiero
Ch’alto mi leva sì, ch’abbrucia l’ale,
21Ma poi torna cadendo al luogo vero:
Ma ben temp’è sperar3 quanto sia il male,
- ↑ Un arguto amico, non estraneo alle nostre fatiche, suggerisce questa correzione: E senza mal provar, provo tormento.
- ↑ Fu messa in luce da Francesco Trucchi nel tomo III delle Poesie italiane inedite di dugento autori, dall’origine della lingua in fino al secolo decimosettimo (Prato, Guasti, 1846-47). Afferma l’editore di averla tratta dal codice 873 della Libreria Magliabechiana.
- ↑ Dove il verbo sperare, in questo senso, non è in uso, dicesi invece Guardar contro il lume, o contro la luce. Qui, per similitudine, nel senso di Considerare minutamente.