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canto quinto. 437


2 Però, signor, se bene io vi parlai
Poco anzi di re Carlo e di Leone,
Bene alloggiati tutti io vi1 lassai
Di carezze, di cibi e di mesone;2
E parmi aver di lor parlato assai:
Sicchè tornare io voglio al fio3 d’Amone,
Qual per amore ha l’anima gioconda,
Con la sua bella e umilïata Ismonda.

3 Avea Ranaldo ormai sì intenerita
E scaldata d’amor la bella dama,
Che l’uno e l’altro come la sua vita
E il cuor del petto suo si apprezza ed ama.
Non è la dama più nel cuor smarrita,* 1
Ma tacendo conferma, e l’amor brama:
Ranaldo di scaldarla mai non resta,
L’abbraccia, l’accarezza e fàlle festa.

4 Ma mentre stan li amanti in tal diletto,
Nè più la dama ormai fa resistenza,
E sperano d’amor l’ultimo effetto,
Nè vi è chi lor ne faccia conscïenza;
Entrar li fece in súbito suspetto
Un rumor grande, e strana appariscenza
Ch’ivi comparse,* 2 e fe sorger Ranaldo,
Che era in quel punto tutto d’amor caldo.

5 La4 dama non men presta in piede sorse,
Insieme vergognosa e tremebonda:
Súbito appresso al suo Ranaldo corse,
Come dir voglia: — Guarda la tua Ismonda; —
Ma ben presto Ranaldo le5 soccorse.
Ma voglier6 mi bisogna a una altra sponda,
Nè dir vi posso or questa istoria tutta,
Chè meglio gusta il bêr bocca più asciutta.

6 Io vi lassai sì come Bradamante
Seguito avea Ranaldo: per trovarlo


  1. Così abbiamo dai primi editori, sebbene il senso sembri richiedere li.
  2. Per magione, stanza: da maison. — (A.-G.)
  3. Per figlio, secondo la pronunzia di più dialetti italiani.
  4. Questa e i primi tre versi della stanza seguente si recano dal Baruffaldi come saggio del Canto IV.
  5. Il Baruffaldi: la.
  6. Il medesimo: volger.
  1. * Tornata era la dama colorita.
  2. * Quivi fu udito.

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