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428 | rinaldo ardito. |
23 Trasse Pomella1 il valoroso Inglese,2
Poi che ebbe fracassata allor la lanza,
E sopra a un amirante la distese,
Che, allo inferno mandòllo a tôr la stanza;
Gridando: — State, gente, alle difese,
Ch’io sono il fior de’ cavalier di Franza,
Che per parol’ non resta far de’ fatti: —
E già tre morti n’avea ’n terra tratti.
24 Partenio occise, Validoro e Iverso.
Al primo fêsse il capo insino al petto,
E il secondo tagliò tutto a traverso,
Sì come al terzo spiccò il capo netto:
L’un Medo, Arabe l’altro e l’altro Perso;
Vecchi i dui primi e il terzo giovinetto.
Nè resta Astolfo, ma ferisce forte,
E chi scavalca e chi conduce a morte.
(Manca la continuazione.)
25 Maravigliòsse assai Orlando allora
Di tal nazion di gente e sua natura:
Ma qui di lui vi lasserò per ora,
Che anco di Carlo mi bisogna cura.
Stava l’imperator festivo ancora
Della vittoria avuta, e sol procura* 1
Adunar genti per la santa impresa,3
Nè fatica risparmia o guarda a spesa.
26 Fra li altri, un giorno fece un gran convito
Con onorevol pompa alla regale;
E di tutti i signor fu fatto invito,
Senza altra differenzia, universale;
Ove fu ognun trattato e riverito
Secondo il grado suo maggiore o eguale,
E tanto da re Carlo accarezzato,
Che ognun se ne partì ben contentato.
27 Dopo il convito, il sacro imperatore
Mostrò cesárea liberalitade,
- ↑ Nome della spada d’Astolfo.— (A.-G.)
- ↑ Il MS.: Anglese.
- ↑ Cioè, la conquista di Gerusalemme e del santo Sepolcro. — (A.-G.)
- ↑ * a gran ventura.