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canto quarto. | 427 |
E quasi il tolse a quel colpo di sella;
Ma un gagliardo non va sì presto a terra:
Ira e vergogna il paladin flagella,
E sopra all’elmo l’inimico tocca,
Che gli fece tremare i denti in bocca.
19 Ma tanto fu degli altri la gran calca
Che sopra a’ dui baron con furia abbonda,
Che l’un da l’altro presto si defalca1
Come due navi sparte il vento e l’onda.
Oh quanta gente allora si scavalca!
Ogni cosa* 1 di sangue intorno gronda;
A chi è tagliato ed a chi suda il pelo,
E il gran rimbombo suona insino al cielo.
20 Va Salomon correndo fra’ Pagani,
Come lupo fra il gregge o in paglia fuoco:
Artiro atterra* 2 e uccide li Cristiani,
E chiunque accoglie, o môre o campa poco.
Una gran pezza stettero alle mani,
Chè l’uno a l’altro non concesse il loco;
Ma pel vigor di quei di Salomone,
Si rincularo2 alfin quei di Macone.
21 Sforzasi Artír difender la bandiera,
Vedendo di Cristiani il valor grande;
Ma in rotta fugge ormai tutta sua schiera;
Chi qua chi là per non morir si spande:
Minaccia Artir, biastema e si dispera,
Ma attender non puote egli a tante bande;
E Balugante, che tal cosa vide,
Di soverchia ira e di vergogna stride.
22 E súbito comanda al franco Odrido,
Che la schiera seconda a guerra mova:
Mossesi quello, e credo alzasse* 3 il grido
Insino al cielo allor la gente nôva;
Ma Uggier, di Carlo capilanio fido,
Visto che l’ebbe, ai suoi gente rinnova;
Mossesi Astolfo e centra Odrido corse,
Ma alcun di loro ai colpi non si torse.