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424 | rinaldo ardito. |
Chè un ver servo d’Amor giammai non cade,
Con fatica, pazienzia e umilitade. —
4 E allor la Diva grazïosamente
Baciar gli fece il bello aurato pomo;
Quello ch’in man tenea, se ancor vi è a mente,
Che far puote in amor felice l’uomo.
Gran virtude da quello* 1 e grazia sente
Chi in servitù d’Amore al giogo è domo,
E bacia il pomo che già diede in mano
Elena bella a Paride trojano.
5 La turba che dintorno a Vener stava,
Ebbe di quel barone invidie estreme,
Vedendo quanto lui accarezzava
La lor regina, che molti altri preme:
Nè poco altri amatori antiqui aggrava
Ch’esca tal frutto di sì nôvo seme,
Che un sì novello amante a Vener gionto
Tenuto sia da lei in tanto conto.
6 Ella, ch’intende il cuore, essendo Dea,
Come uom che sopra li altri ogni altro vede,
Lor secreti penser tutti intendea,
Chè l’alto e divin lume il nostro eccede;
Con celeste parlar così dicea:
— Dàssi secondo il merto ogni mercede:
A voi ciechi non par, ma a me, che a lui
Mi dimostri benigna or più che altrui.
7 Taccio la causa; e a render* 2 non son stretta,
Io che son Dea, ragione a vui mortali.
Come esso al fine vuol, sue grazie assetta* 3
Ciascun Iddio,* 4 e non come voi frali:
Anzi, flagello e gran tormento aspetta
Chi ai Dei ascrive le ingiustizie e i mali.
Costui me e voi ha preservato solo;* 5
Nè gli può Amor spiacer, sendo spagnuolo.* 6
8 Ebbe compiuto appena il parlamento
L’alta regina, che li ardenti cuori,
E ogni servo d’Amor restò contento,
Mostrandolo con rose ed altri fiori:
Mostravano al baron loro odio spento