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402 | rinaldo ardito. |
Io non so se Turpino in ciò m’inganni,
Fu uno* 1 asinello di ben sopra otto anni.
52 Rignando, cominciò giôcar di calci,
E porre ivi ciascuno in gran conquasso;* 2
Fra color si dimena, e con gran balci1
E correr, ne va assai più che di passo.
Non fa tempesta, quando scorza i salci,
Tanto rumor ne’ campi e tal fracasso,
Quanto fa allora il spirto Libichello
Mutato, come io dissi, in asinello.
53 Orlando e Rosador di riso scoppia,
Milon, Fondrano, e così tutto il resto:
Pur sempre i calci l’asinel raddoppia,
E salta e corre e poi raggira presto;
L’orecchie stende, si digrigna, e doppia
Festa agli astanti poi aggiunse a questo,
E2 in ordine mostrò quel che in le* 3 stalle,
O ne’ campi, il stallon fra le cavalle.
54 E si drizzò a seguir Gallicïana
Quel disonesto e intrepido asinazzo:
Ella, che vide quella cosa strana,
Si sforza vergognosa uscir d’impazzo;
Ma l’asino da lei non si allontana:
Gridagli forte ognun, pur n’ha sollazzo;
E se non pur che la regina infesta,
Scoppiato ne sarebbe ognun di festa.
55 Ma il conte Orlando, cavalier saputo,
Che ebbe la lettra, s’avvisò del fatto:
Perchè più d’uno incanto avea veduto
Per altri tempi, imaginòssi il tratto,
Che Malagigi, o chi altri, qui venuto
Fusse per eseguir questo tristo atto;
Ed a quanti baron si vide avante,
Disse: — Qui è stato qualche negromante. —
56 Confermò ognun quel che ’l conte prevede;
Il qual disse a ciascun che presente era:
— Io son3 Orlando, il quale in Cristo crede,