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canto secondo. | 395 |
20 E alla proposta subito rispose,
E rescrisse una a lei di tal tenore:
— Regina mia, nelle importanti cose
Vostre del regno sol vi mostro amore;
Ma in altre trame occulte ed amorose
Non fui mai vosco: onde pigliate errore;
Nè sta notte nè mai giacqui con vui:
Credo ch’in cambio mio godeste altrui. —
21 Diede la lettra il conte al fido messo,
Che alla regina appresentòlla in mano.
Ella vedendo il servo, al primo ingresso
Allegròssi, ma poi fu il gaudio vano;
Chè, poi che della lettra intese espresso
Tutto il tenor, le parve il caso strano
D’esser schernita, e che ciò* 1 nieghi il conte,
Chè pure il vide seco a fronte a fronte.
22 E cominciò a dolersi la regina
Allor del conte assai, con voce pia;
Lacrimando diceva: — Ahimè meschina,1
A chi diei l’alma e la persona* 2 mia!
Ad un che fu la notte, e la mattina
Dimostra ingrato che più mio non sia;
E a me, che io il vidi e so che fu certo ello,
Non si vergogna dir che non fu quello.
23 Nol vedeste, occhi, voi che le fattezze
Avea del conte? Io so che non errasti.
Ora son queste, Orlando, le prodezze
Che per mio amore usar prima pensasti?
Se pur non ti piacean le mie bellezze
(Che poco sono), a che, crudel, le usasti?
A che sì piccol tempo le godesti,
E da me, ingrato, come vil, ti arresti?2
24 Forse ch’io non ti son piaciuta quanto
Credevi prima, ahimè, solo a vedermi?* 3
Ma perchè, ingrato, tante volte e tanto
Quella notte tornasti a rigodermi?
Se allor bella non fui, come di manto