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392 | rinaldo ardito. |
7 — Ben mostri, alto baron, vivace ingegno,
Disse la dama, e razional discorso,
Che con la forza uniti ti fan degno
Di conseguir d’amor dolce soccorso:
Spera che fine arai al tuo disegno,
E alla sventura tua* 1 porrai il morso,
Quanto ad Amore e Venere si spetta;
Benchè tua mente in ciò dubbia e suspetta.
8 Ma dubitar non dêi; chè ’l fuoco pasce
In umido* 2 liquore e si conserva,
Come in voi il calor nativo nasce
In radicale umor, che in vita serva
Nel materno alvo l’uomo e nelle fasce;* 3
E sempre umor da morte lo preserva;
E in la lucerna piccoletta fiamma
In olio e in altro umor s’avviva e infiamma.
9 Però Venere infiamma e si diletta
Di quello umor che sta col caldo insieme:
Anzi, nel mar, di spuma fu* 4 concetta
Venere, in cambio di genital seme.
La cosa non dirò, baron, perfetta,
Però che l’onestà la lingua preme;
Ed a una donna, ancor che meretrice,
Lo inonesto parlar sempre disdice.
10 Il viver di Saturno, e ciò che fece
Al padre suo, mi converría narrarte;
Ma questo ad uomo più che a donna lece:
Bastami a dir la più opportuna parte,
E che come la fiamma in olio o in pece,
Così in rumor stia il caldo, dimostrarte;
Nè ti sia cosa nova e inusitata,
Che una Najade a Vener sia dicata.
11 O felice colui che intender puote
Il secreto poter della natura!1
O quante cose sono al mondo ignote
Che l’uomo di sapere ha poca2 cura;
E se fussero a noi palesi e note,