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canto primo. 13


35 Stato era grande appresso a Carlo Gano
Un tempo sì, che alcun non gl’iva al paro:
Poi con Astolfo quel di Mont’Albano,
Orlando e gli altri che virtù mostraro
Contra Marsilio e contra il re africano,
Fêr sì che tanta altezza gli levaro;
Onde il meschin, che di fumo e di vento
Tutto era gonfio, vivea mal contento.

36 Gano superbo, livido e maligno
Tutti i grandi appo Carlo odiava a morte;
Non potea alcun veder, che senza ordigno,
Senza opra sua si fosse acconcio in corte:
Sì ben con umil voce e falso ghigno
Sapea finger bontade, ed ogni sorte
Usar d’ipocrisía, che chi i costumi
Suoi non sapea, gli porria a’ piedi i lumi.1

37 Poi, quando si trovava appresso a Carlo
(Chè tempo fu ch’era ogni giorno seco),
Rodea nascosamente come tarlo,
Dava mazzate a questo e a quel da cieco:
Sì raro dicea il vero, e sì offuscarlo
Sapea, che da lui vinto era ogni Greco.
Giudicò Alcina, com’io dissi, degno
Cibo all’Invidia il cor di vizî pregno.

38 Fra i monti inaccessibili d’Imavo,2
Che il ciel sembran tener sopra le spalle,
Fra le perpetue nevi e ’l ghiaccio ignavo3
Discende una profonda e oscura valle;
Onde da un antro orribilmente cavo
All’Inferno si va per dritto calle:
E questa è l’una delle sette porte,
Che conducono al regno della Morte.

  1. Gli porria a’ piedi i lumi; come si farebbe ad un Santo. (Molini.) — Questo verso fa ricordare l’energico sarcasmo del Casa, nella celebre Orazione per la Lega, parlando dell’imperatore Carlo V: «Se tale egli è, accendetegli i lumi e adoratelo.»
  2. L’Imavo è la gran catena dell’Himalaja, che traversa l’Asia obliquamente. — (Molini.)
  3. Come presso i Latini. Ovid., Metamorf., II, 765, parlando della casa dell’Invidia: «Tristis et ignavi plenissima frigoris.» Ognuno può da sè confrontare la descrizione del poeta latino coll’imitazione qui fattane dal Ferrarese.
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