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390 | rinaldo ardito. |
12 Delle Najade son la più onorata,* 1
Chè così d’acqua son le ninfe dette:* 2
Liquezia ho nome e, a Venere dicata,
Sono delle sue care e più dilette;* 3
Ed a te fui col bel serto mandata* 4
Per animarti a far le sue vendette:
Questa è mia stanza. E qui poserà tanto
Ch’io torni a rivederlo in l’altro canto.1
CANTO SECONDO.
1 Benchè da poi che ’l Redentor del mondo
Dimostrar2 volse un sol Dio trino ed uno,
Ogni idol falso* 5 rovinasse al fondo;
Pur fra’ Pagani ancor ne restò alcuno:
Che li* 6 altri Dei, eccetto il ver, secondo
Debbe di noi fedel creder ciascuno,
Erano di Pluton seguaci rei,
Che la gentilità chiamava Dei.
2 Ma per la morte, e pel misterio sacro
Dell’acerba passion del Verbo eterno,
Qual segnò i suoi di quel santo lavacro
Che lava in noi ogni peccato interno,
Restò a Plutone il mondo acerbo ed acro,
E ritrarse gli fu forza all’inferno;
Nè falso alcuno iddio restò a’ Cristiani,
Ma qualche illusïon fra li Pagani.
3 E3 però a alcun di voi strano non paja
- ↑ Secondo i saggi prodotti del Baruffaldi (Vita di messer Lodovico Ariosto, pag. 310-314), chiuderebbesi con questi due versi il Canto quarto, e dovrebbero così leggersi: Quest’è mia stanza, e qui poseran tanto Ch’io torni a rivederli in altro canto.
- ↑ MS.: dimostar.
- ↑ Questa e le seguenti due stanze furono pabblicate dal Baruffaldi come saggio del Canto V. Vedi Vita ec., pag. 313.