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Il vivo lume e la beltà, si avventa
Man poderosa, e innanzi a lui la fura,
E lo lascia ad empir de’ suoi lamenti
Il mare e il bosco: tal lunga stagione
Roma gl’iniqui fati pianse, e in duolo
Sospirò i vanti de’ Quiriti antichi;
Quando, il guardo girando al Vaticano,
Vide, Lucrezia, te, del chiaro sangue
Borgia, bella così che altra più bella
Di volto e di costume unqua non v’ebbe,
Nè di poeti fantasía ritrasse;
E già al tuo raggio ristorava i danni.
Piangete o sette Colli, o Tebro piagni,
E voi memorie del vetusto impero,
Chè or gli Estensi fratelli, ed i congiunti
Principi, cui dalla città natale
Inviò prode garzon stirpe di Alcide,
Impunemente ne hanno fatto scemi
Di quanto avemmo di più caro, e lei
Ad estranio marito hanno ristretta.
Crudo Imene, ai Romani Imenéo infesto.
Ferraresi.
Come giardino cui verdura eterna
Ombreggia, e rivo zampillante irriga
Le riquadrate ajuole, ancor che grido
Si abbia quando l’idea Capra nel cielo
Appare, o al sorger della Libra, o allora
Che i seminati il sirio Can saetta;
Eppur vista di sè porge più grata
Quando rimena tiepid’aure il Tauro,
E ogni stelo s’ingemma, e in bei colori
L’erba si pinge, e il suol vestono gigli,
Brevi giacinti, vïolette e rose:
Così quella Ferrara che rifulse
Per regal culto, sacri templi e moli,
Di che si accrebbe la cittade, o meglio
Per private ricchezze e lusso onesto,
O innanzi tutto per gl’ingenui studî
Dell’età verde e dell’età matura,
Oggi è a veder più bella e più piacente
Poi che tu, tratta dal tuo tauro, o Borgia,