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sonetti. 303

Sonetto XXII.1


     Madonna, sete bella, e bella tanto,
Ch’io non veggio di voi cosa più bella.
Miri la fronte, o l’una e l’altra stella,
4Che mi scorgon la via col lume santo;
     Miri la bocca, a cui sola do vanto,
Che dolce ha il riso e dolce ha la favella;
E l’aureo crine, onde Amor fece quella
8Rete che mi fu tesa d’ogni canto;
     O di terso alabastro il collo e ’l seno,
O braccio o mano; e quanto finalmente
11Di voi si mira, e quanto se ne crede,
     Tutto è mirabil certo. Nondimeno,
Non starò ch’io non dica arditamente,
14Che più mirabil molto è la mia fede.


Sonetto XXIII.2


     Son questi i nodi d’ôr, questi i capelli,
Ch’or in treccia or in nastro, ed or raccolti
Fra perle e gemme in mille modi, or sciolti
4E sparsi all’aura, sempre eran sì belli?
     Chi ha patito che si sian da quelli
Vivi alabastri e vivo minio tolti?
Da quel volto, il più bel di tutti i volti,
8Da quei più avventurosi lor fratelli?3
     Fisico indôtto, non era altro ajuto,
Altro rimedio in l’arte tua, che tôrre
11Sì ricco crin da sì onorata testa?
     Ma così forse ha il tuo Febo voluto;
Acciò la chioma sua, levata questa,
14Si possa innanzi a tutte l’altre porre.


  1. Ha relazione con le cose dette nella prima Canzone, e altrove.
  2. Il soggetto del presente, come dei Sonetti XXV e XXVI, è simile a quello dell’Elegia XIII; cioè la recisione della bella chioma d’Alessandra, che dovè farsi per comando del medico, in occasione di una grave malattia della medesima. Di ciò ritocca l’autore anche nel Madrigale I.
  3. Pare che il severo medico consentisse alla conservazione di una parte di quella chioma. Si vedano i versi 1 e 3 del Sonetto XXVI.