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sonetti. 297

Sonetto X.


     Avventuroso carcere soave,
Dove nè per furor nè per dispetto,
Ma per amor e per pietà distretto
4La bella e dolce mia nemica m’have!
     Gli altri prigioni al volger della chiave
S’attristano: io m’allegro, chè diletto
E non martír, vita e non morte aspetto,
8Nè giudice sever nè legge grave;
     Ma benigne accoglienze, ma complessi
Licenzïosi, ma parole sciolte
11D’ogni freno, ma risi, vezzi e giôchi;
     Ma dolci baci, dolcemente impressi
Ben mille e mille e mille e mille volte:
14E se potran contarsi, anco fien pochi.1


Sonetto XI.2


     Quando prima i crin d’oro e la dolcezza
Vidi degli occhi, e le odorate rose
Delle purpuree labbra, e l’altre cose
4Che in me creâr di voi tanta vaghezza;
     Pensai che maggior fosse la bellezza
Di quanti pregi il ciel, donna, in voi pose,
Ch’ogni altro alla mia vista si nascose,
8Troppo a mirar in questa luce avvezza.
     Ma poi con sì gran prova il chiaro ingegno
Mi si mostrò, che rimaner in forse
11Mi fe che suo non fosse il primo lôco.
     Chi sia maggior non so: so ben che poco
Son disuguali, e so che a questo segno
14Altro ingegno o bellezza unqua non sorse.


  1. I concetti sono, tolti dal catulliano endecasillabo: Qæris quot mihi basiationes, ed anche dall’altro: Vivamus mea Lesbia, atque amemus, secondo il Pezzana.
  2. Si tiene dettato anche questo per la donna del suo cuore, Alessandra.