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sonetti. 293

Sonetto II.


     Mal si compensa, ahi lasso! un breve sguardo
All’aspra passïon che dura tanto;
Un interrotto gaudio a un fermo pianto;
4Un partir presto a un ritornarvi tardo.
     E questo avvien chè non fu pari il dardo,
Nè il fôco par ch’Amor n’accese a canto:
A me il côr fisse, a voi non toccò il manto;
8Voi non sentite il caldo, ed io tutt’ardo.
     Pensai che ad ambi avesse teso Amore,
E voi dovesse a un laccio coglier meco;
11Ma me sol prese, e voi lasciò andar sciolta.
     Già non vid’egli molto a quella volta;
Chè, s’avea voi, la preda era maggiore:
14E ben mostrò ch’era fanciullo e cieco.


Sonetto III.


     O sicuro, secreto e fido porto,1
Dove, fuor di gran pelago, due stelle,
Le più chiare del cielo e le più belle,
4Dopo una lunga e cieca via m’han scôrto:
     Or io perdono al vento e al mare il torto
Che m’hanno con gravissime procelle
Fatto sin qui, poi che se non per quelle,
8Io non potea fruir tanto conforto.
     O caro albergo, o cameretta cara,
Ch’in queste dolci tenebre mi servi
11A goder d’ogni sol notte più chiara!
     Scorda ora i torti e sdegni acri e protervi;
Chè tal mercè, cor mio, ti si prepara,
14Che appagherà quant’hai servito e servi.2


  1. Questo Sonetto ha relazione coll’Elegia VI, «O avventuroso;» e col Sonetto XIII, «Avventuroso carcere.» — (Rolli e Pezzana.)
  2. Hai meritato e meriti servendo. Un quattrocentista, ma dei citati della Crusca dei nostri giorni: «Volesse Iddio che questi danari andassino in mano di chi almeno alcuna particella ne avesse servito o per lo futuro ne servisse!» — «Non che questo uomo cercasse danari, ma egli rinunziò i danari serviti.»

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