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288 | canzone seconda. |
Di falsi gaudî, o quattro o sei, più prezza
Che l’eterna allegrezza,
Vera e stabil, che mai speranza o tema
Od altro affetto non accresce o scema!
90Questo non dico già perchè d’alcuno
Freno ai desiri in te bisogno creda;
Chè da nuov’altra teda
So con quant’odio e quant’orror ti scosti:
Ma dicol perchè godo che proceda
95Come conviensi, e com’è più opportuno
Per salir qui, ciascuno
Tuo passo, e che tu sappia quanto costi
Il meritarci i ricchi premî posti.
Non godo men, che agl’ineffabil pregî
100Che avrai qua su, veggio ch’in terra ancora
Arrogi un ornamento che più onora
Che l’oro e l’ostro e li gemmati fregi.
Le pompe e i culti regî,
Sì riverir non ti faranno, come
105Di costanza il bel nome,
E fede e castità; tanto più caro,
Quanto esser suol più in bella donna raro.
Questo, più onor che scender dall’augusta
Stirpe d’antichi Ottoni, estimar dêi:
110Di ciò più illustre sei,
Che d’esser de’ sublimi, incliti e santi
Filippi nata, ed Ami ed Amidei,
Che fra l’arme d’Italia e la robusta,
Spesso a’ vicini ingiusta,
115Feroce Gallia, hanno tant’anni e tanti
Tenuti sotto il lor giogo costanti
Con gli Allobrogi i popoli dell’Alpe;1
E di lor nomi le contrade piene
Dal Nilo al Boristene,
120E dall’estremo Idaspe al mar di Calpe.
Di più gaudio ti palpe2
Questa tua propria e vera laude il côre,
Che di veder al fiore
De’ gigli d’oro e al santo regno assunto