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272 egloga.

Aveasi Alfenio, e facea cosa raro
132Senza lui, di piacere o di negocio.
     Comperòllo già Eraclide, e tal paro
Ho di buoi di più prezzo che non ebbe
135Colui che gliel vendè, quantunque avaro;
     A cui di sua ricchezza non increbbe:
E con pubblica invidia odi parlarne,
138Ma ’l fine arà ch’a sua vita si debbe.
     Spero veder la sua putida carne
Pascer i lupi, e gl’importuni augelli
141Gracchiarli intorno, e scherno e straccio1 farne.
     Tirsi.Come si son così scoperti, s’elli
Non eran più?2 Perc’han tardato farlo,3
144Se aveano ognora i comodi sì belli?
     Melibeo.Feréo fu come il sorco o come il tarlo,
Che nascoso rodendo fa sentirse
147Da chi non avea cura di trovarlo.
     Tacendo, ne potea libero girse;
Ma ’l timor ch’egli avea d’esser scoperto
150Fu tanto, ch’egli stesso andò a scoprirse.4
     E rende a’ suoi seguaci or questo merto,
Che tratti gli ha come pecore al chiuso,
153E poi la notte al lupo ha l’uscio aperto.
     Nè meno ancor fu dal timor confuso
Quantunque volte per conchiuder venne
156Con l’opra quel che avea ’l pensier conchiuso:
     Onde sin qui tra ferro e tôsco indenne
È giunto Alfenio, mercè quel vil côre
159Che la man pronta sul ferir ritenne.
     Siamo adunque obbligati a quel timore,
Che dal ferro difese e dal veneno
162La nostra guardia e ’l nostro almo pastore.
     Com’è nostro pensier ch’ora abbia fieno


  1. Così il Manoscritto e le stampe, ma credo con ridoadanza di un c, e nel significato di strazio; come l’Ariosto costumò di scrivere anche fuori di rima, e può vedersi poco indietro in ocio, vici, negocio.
  2. Cioè, più di sei.
  3. Eseguire il misfatto da essi meditato.
  4. Primo ad avvedersi della trama fu, secondo il Muratori, il cardinale, per certi atti di soverchia confidenza che avea veduto praticarsi da Giano verso il duca. Il quale, fatto chiamare don Ferrante, ebbe da lui la confessione della congiura, non solamente in parole ma ancora in iscritto, benchè in questa venissero taciute «in suo pro molte gravissime circostanze.»