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EGLOGA.1
TIRSI, MELIBEO.
Tirsi.Dove vai, Melibeo, dove sì ratto;
Or che da’2 paschi erbosi alle fresc’onde
3Col gregge anelo ogni pastor s’è tratto;
Or che non pur crollar vedi una fronde;
Or che ’l verde ramarro all’ombra molle
6Della spinosa siepe si nasconde?
Non odi che risuona il piano e il colle
Del canto della stridula cicada?
9Non senti che la terra e l’aria bolle?
Melibeo.Tirsi, qualor bisogna andar, si vada;
Nè si resti per caldo nè per gelo,
12Nè per pioggia nè grandine che cada.
Anch’io saprei sotto l’ombroso velo
- ↑ È soggetto di questo componimento un tristissimo fatto della storia ferrarese; cioè la congiura ordita contro il duca Alfonso I da due suoi fratelli, don Ferrante e don Giulio, figliuolo naturale di Ercole I. Di questa parlarono il Giovio nella Vita d’Alfonso, il Guicciardini nel libro sesto della sua Istoria, e più diffusamente il Muratori nell’Antichità Estensi; nè potè tacerne lo stesso Lodovico nel Furioso: come può vedersi al c. III, st. 60-62.
L’Egloga con che pur volle serbarcene la memoria, importante per alcuni dati storici intorno alle persone dei congiurati, giacque inedita nella Magliabechiana sino all’anno 1807, nel quale il Baruffaldi pubblicavane i primi sessantatrè versi, sopra una copia trasmessagli da Francesco Del Furia; e un altro e più lungo saggio n’era esibito nel Poligrafo di Milano circa il 1815, illustrandone la parte istorica Luigi Lamberti, e Urbano Lampredi la letteraria. Fu per intero poi messa a luce in Firenze nel 1820 da Francesco Inghirami, nel volume primo della sua Nuova collezione d’opuscoli. Il Molini la ristampò, con sue note, tra le Poesie varie di Lodovico Ariosto, all’insegna di Dante, 1824. Nel 1835, lo stesso Lampredi, supponendola tuttora inedita, la riprodusse in Napoli con più estese dichiarazioni. - ↑ Il Baruffaldi e il Molini leggevano: di paschi erbosi. II Lampredi fece la correzione che noi seguitiamo. Il Manoscritto ha veramente: da paschi; e l’errore sembra proceduto dalla stampa procurata dall’Inghirami.