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capitolo terzo. 259

174E più ostinato ognor più se n’invoglia;
     E con parlar non fra li denti oscuro,
Ma chiaro e aperto, mormorando in onta
177E d’Obizzo e d’Italia va sicuro.
     Al cavalier da Este per ciò monta
Lo sdegno e l’ira; e di nuovo al cospetto
180Del giustissimo re con lui s’affronta,
     E dice: — Carbilan, se t’è in dispetto
Che per ir contro ad Aramone audace
183M’abbia, a’ miei preghi, il signor nostro eletto;
     E se perciò ostinato e pertinace
Tu voglia dir che quest’onor non merti,
186E che di me tu ne sia più capace,
     Dico che tu ne menti; e sostenerti
Voglio con l’arme, che in alcuna prova
189Miglior uomo di me non dêi tenerti.
     E perchè quest’error da te si môva,
Che ad intender ti dai che a tua possanza
192E tua destrezza par non si ritrova;
     Proviamo in questo tempo che n’avanza
Di qui alla fin d’april, qual di noi deggia
195Metter in campo il re con più baldanza.
     E s’altro ancor, o di tua o d’altra greggia,
Dice che più la pugna gli convenga
198Che a me, fra questo termine mi chieggia. —
     Così diss’egli: or forza è che sostenga
Carbilano il suo detto, e ad altro giôco
201Che di parole e di minacce venga.
     Il re, da prieghi vinto, se ben poco
Ne par restar contento, pur nè tolle
204La pugna lor, nè nega ad essa il loco.
     Ma non che fosse la querela volle
Qual nazïon, l’italica o la franca,
207Sia più robusta, o qual d’essa1 più molle;
     Ma chi, ciascun per sè, abbia più franca
Persona o più gagliarda, non repugna
210Che mostri, e per ciò lor dà piazza franca;
     E si serba anco di partir la pugna.




  1. Così le stampe; parendo però a noi che dovrebbe invece leggersi: d’esse.