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244 | elegia decimasesta. |
Déttami con qual modo illustra e imbianca
All’apparire il tuo beato lume
21L’occaso, dove ogn’alma imbruna e sbianca:
Come il cieco disir mette ale o piume,
Perchè continuo i’ stia là dove ardendo
24Nodrisco gli occhi, ben che ’l côr consume:
Come ne’ tuoi per gli occhi miei fuggendo
L’alma ardente s’annida, e trova pace
27Nell’amorosa brama, in te vivendo:
Quanto agli ardenti sensi giova e piace
Un sì leggiadro nodo, dove avvinto,
30L’antica libertade al côr dispiace:
Qual mi facc’io, quando talor sospinto
Dall'amorosa sferza, mostro aperto
33Nel volto il core dal disir dipinto.
Del riso non dirò, perch’io so certo
Che a quel, nè al dolce suon delle parole,
36Non pure uman pensiero agguaglia il merto.
Ma chi descriver puote a pieno il sole,
E ’l suo tanto splendor, sì che comprenda
39L’orecchio ciò che l’occhio apprender suole?
Non è valore uman che tanto ascenda;
E se vi è pur che a tanta altezza arriva,
42Grazia rado concessa è che ’l commenda.
Però ritorna il debil legno a riva:
Insana voglia, che ’n tal mar t’esponi,
45La cui profondità di fine è priva!
Assai fia se ’l disio tuo in parte esponi;
Che sì altera beltà, par che ad oggetto
48Agli occhi il ciel, non alla lingua, il doni.
Dunque, per te s’intenda che nel petto
Pensier non ho che non corra al bel volto:
51Sì Amor nel dolce nodo il cor m’ha stretto!
Che ognor la lingua in quegli accenti ho vôlto,
Onde risuona il grazïoso nome,
54Che a ogn’altro m’ha l’entrata e ’l corso tolto:
Che mi son lievi l’amorose some,
Gravi ad ogn’altro, pel desir che spera
57Che alfin tanta durezza i’ vinca e dome:
Come sigil non fa sì espressa in cera
Imago, come in me speme e timore
60Forma il bel raggio della luce altera;