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236 | elegia duodecima. |
Se caso poi più del voler forza have,
Che ne faccia ir lontan, si riman carco
18Di peso più che tutti gli altri grave.
Chi mira il viso a cui non fu il ciel parco
Di grazia alcuna, benedice l’ora
21Che, per pigliarlo, Amor l’attese al varco:
Se come in van risponde al bel di fuora
Il mutabil voler di dentro mira,
24Chi ’l prese biasma e maledice ognora.
Chi non resta contento più desira,
Quando Madonna con parole e sguardi
27Dolce favor cortesemente spira?
Se avvien che altrove intenda non ti guardi,
Qual sólfor arde, qual pece, qual têda,
30Qual Encelado, sì come tu ardi?
Chi conosce piacer che quello ecceda,
Ch’ella ti faccia parer falso un vero,
33Che ti può far morir, quando tu il creda?
Se altrui suasïone, o mio pensiero,
Mostra poi ch’egli è pur com’io temea,
36Si può miracol dir s’allor non pêro.
Chi può stimare il gaudio che si crea
In quei due giorni tre, quai dopo aspetto
39Un promesso ristor dalla mia dea?
Se diverso al sperar segue l’effetto,
Nè per lei trovo scusa se non frale,
42Non so come tal duol capisca il petto.
Chi pensa, in somma, che per quante scale
S’ascende al ben d’amor, per altrettante
45Poi si ruina, sa ch’è minor male
Smontar, che, per cader, salir più innante.
ELEGIA DECIMATERZA.
Piaccia a cui piace, e chi lodar vuol lodi,
E chiami vita libera e sicura
3Trovarsi fuor degli amorosi nodi;