Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/264


elegia undecima. 235

Fa ch’io languisca e che Madonna sani;
42Fa ch’io mi dolga e torna lei gioconda.
     E se morir ne dee (che però vani
Sieno gli augurî), oggi morir per lei
45Supplico, e al ciel ne levo ambe le mani.
     Io, perch’essere ancora non potrei
Messo alla elezïon, messo al partito,
48Che fu già un Gracco e un re delli Ferei?1
     So ben che ’l miglior d’essi avrei seguito,
Quel che a far per Cornelia gire a morte
51Non bisognò se non il proprio invito.
     Odiosa fu la tua contraria sorte,
Ingratissimo Admeto, che, agli casti
54Preghi inclinando, la fedel consorte
     Morir per te nel più bel fior lasciasti!




ELEGIA DUODECIMA.




     Chi pensa quanto il bel disio d’amore
Un spirto pellegrin tenga sublime,
3Non vorría non averne acceso il côre:
     Se pensa poi che quel tanto n’opprime,
Che l’util proprio e ’l vero ben s’oblia,
6Piange in van del suo error le cagion prime.
     Chi gusta quanto dolce il creder sia
Solo esser caro a chi sola n’è cara,
9Regna in un stato a cui null’altro è pria:
     Se poi non esser sol misero impara,
E cerca in van come ingannar sè stesso,
12Se vita ha poi, l’ha più che morte amara.
     Chi non sa quanto aggrada esser appresso
A’ bei sembianti, al bel parlar soave,
15Che n’ha sì facilmente il giogo messo;


  1. Tiberio Gracco volle mettersi a pericolo di morire perchè ne fosse libera Cornelia sua moglie. Il contrario fece Admeto re di Fere in Tessaglia, il quale si lasciò vincere dai preghi di Alceste sua moglie, che esibì la propria vita per quella del marito. — (Molini.)