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elegia sesta. | 225 |
Piacer ministri, avrò in memoria eterna,
36E, quanto è il mio poter, sempre vi esalto.
Nè più debb’io tacer di te, lucerna,
Che con noi vigilando, il ben ch’io sento,
39Vuoi che con gli occhi ancor tutto discerna.
Per te fu duplicato il mio contento:
Nè veramente si può dir perfetto
42Un amoroso gaudio a lume spento.
Quanto più giova in sì soave effetto
Pascer la vista or degli occhi divini,
45Or della fronte, or dell’eburneo petto:
Mirar le ciglia e gli aurei crespi crini,
Mirar le rose in su le labbra sparse,
48Porvi la bocca, e non temer di spini:
Mirar le membra, a cui non può agguagliarse
Altro candor, e giudicar mirando
51Che le grazie del ciel non vi fûr scarse:
E quando a un senso soddisfare, e quando
All’altro, e sì che ne fruiscan tutti,
54E pur un sol non ne lasciare in bando!
Deh! perchè son d’amor sì rari i frutti?
Deh! perchè del gioir sì breve è il tempo?
57Perchè sì lunghi e senza fine i lutti?
Perchè lasciasti, oimè, così per tempo,
Invida Aurora, il tuo Titone antico,
60E del partir m’accelerasti il tempo?
Ti potess’io, come ti son nemico,
Nuocer così! Se il tuo vecchio ti annoja,
63Chè non ti cerchi un più giovane amico,
E vivi, e lascia altrui viver in gioja?
ELEGIA SETTIMA.
O ne’ miei danni più che ’l giorno chiara,
Crudel, maligna e scellerata notte,
3Ch’io sperai dolce, ed or trovo sì amara!
Sperai che uscir dalle cimmerie grotte
Tenebrosa devessi, e veggio c’hai