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198 | satira sesta. |
Venne a calende, e fuggì innanzi agl’idi:1
Fin che me ne rimembre, esser non puote
63Che di promessa altrui mai più mi fidi.
La sciocca speme alle contrade ignote
Salì del ciel quel dì che ’l pastor santo
66La man mi strinse e mi baciò le gote:
Ma fatte in pochi giorni poi di quanto
Potea ottener le esperïenze prime,
69Quanto andò in alto, in giù tornò altrettanto.
Fu già una zucca, che montò sublime
In pochi giorni tanto, che coperse
72A un pero suo vicin l’ultime cime.
Il pero una mattina gli occhi aperse,
Ch’avea dormito un lungo sonno, e visti
75I nuovi frutti sul capo sederse,
Le disse: — Chi sei tu? come salisti
Qua su? dove eri dianzi, quando, lasso,
78Al sonno abbandonai questi occhi tristi? —
Ella gli disse il nome, e dove al basso
Fu piantata mostròlli; e che in tre mesi
81Quivi era giunta accelerando il passo.
— Ed io (l'arbor soggiunse) a pena ascesi
A questa altezza, poichè al caldo e al gelo
84Con tutti i venti trenta anni contesi.
Ma tu che a un volger d’occhi arrivi in cielo,
Rendite certa, che non meno in fretta
87Che sia cresciuto, mancherà il tuo stelo. —
Così alla mia speranza, che a staffetta
Mi trasse a Roma, potea dir chi avuto
90Per Medici sul capo avea l’accetta;2
O gli avea nell’esilio sovvenuto;
O chi a riporlo in casa o chi a crearlo
93Leon, d’umil agnel, gli diede ajuto.
Chi avesse avuto lo spirto di Carlo
Sosena3 allora, avría a Lorenzo forse
- ↑ Cioè, in pochissimi giorni svanì la speranza di essere beneficato e promosso dall’amico pontefice. Di che vedi anche la Satira IV, v. 97 e seg.
- ↑ Quelli che per amore di detta famiglia erano stati a pericolo della vita.
- ↑ Il poeta avea fatto prima: il spirto di don Carlo Sosena ec.; e così sta nelle prime edizioni e in quella del Rolli, il quale suppone che l’autore parli di qualche ecclesiastico della nobil famiglia Sosena di Ferrara. La correzione sembra contraria al supposto. — (Molini.)