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satira sesta. 197

27Se vuoi che l’augel caschi nella ragna.
     Perchè, quanto all’onor, n’ho tutto quello
Ch’io voglio: assai mi può parer ch’io veggio1
30A più di sei levarmisi il cappello:
     Perchè san che talor col duca seggio
A mensa, e ne riporto qualche grazia,
33Se per me o per gli amici gli la chieggio.
     E se, come d’onor mi truovo sazia
La mente, avessi facultà a bastanza,
36Il mio desir si fermería, ch’or spazia.
     Sol tanta ne vorrei, che viver sanza
Chiederne altrui, mi fosse in libertade:
39Il che ottener mai più non ho speranza;
     Poi che tanti mie’ amici potestade
Hanno avuto di farlo, e pur rimaso
42Son sempre in servitude e in povertade.
     Non vuò più che colei2 che fu del vaso
Dell’incauto Epiméteo a fuggir lenta,
45Mi tiri, come un bufalo, pel naso.
     Quella ruota dipinta mi sgomenta,
Ch’ogni mastro di carte3, a un modo finge:
48Tanta concordia non cred’io che menta.
     Quel che le siede in cima si dipinge
Uno asinello: ognun lo enigma intende,
51Senza che chiami a interpretarlo Sfinge;
     Vi si vede anco, che ciascun che ascende
Comincia a inasinir le prime membre,
54E resta umano quel che a dietro pende.
     Fin che della speranza mi rimembre,
Che coi fior venne e con le prime foglie,
57E poi fuggì senza aspettar settembre;
     Venne il dì che la Chiesa fu per moglie
Data a Leone, e che alle nozze vidi
60A tanti amici miei rosse le spoglie.4


  1. Dal manoscritto apparisce che il Poeta avea fatto prima: Ch’io voglio, basta che in la patria veggio, e così sta nella prima e in altre edizioni. — (Molini.)
  2. La Speranza. Vedi la favola presso i mitologi. — (Molini.)
  3. La ruota della Fortuna, che è così dipinta nel giuoco dei tarocchi e delle minchiate. — (Molini.)
  4. Leone X fece nella prima creazione cardinali trentuno, non senza nota di avere con ciò accozzata gran somma di danari per le guerre a cui preparavasi.

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