27Se vuoi che l’augel caschi nella ragna.
Perchè, quanto all’onor, n’ho tutto quello
Ch’io voglio: assai mi può parer ch’io veggio1 30A più di sei levarmisi il cappello:
Perchè san che talor col duca seggio
A mensa, e ne riporto qualche grazia, 33Se per me o per gli amici gli la chieggio.
E se, come d’onor mi truovo sazia
La mente, avessi facultà a bastanza, 36Il mio desir si fermería, ch’or spazia.
Sol tanta ne vorrei, che viver sanza
Chiederne altrui, mi fosse in libertade: 39Il che ottener mai più non ho speranza;
Poi che tanti mie’ amici potestade
Hanno avuto di farlo, e pur rimaso 42Son sempre in servitude e in povertade.
Non vuò più che colei2 che fu del vaso
Dell’incauto Epiméteo a fuggir lenta, 45Mi tiri, come un bufalo, pel naso.
Quella ruota dipinta mi sgomenta,
Ch’ogni mastro di carte3, a un modo finge: 48Tanta concordia non cred’io che menta.
Quel che le siede in cima si dipinge
Uno asinello: ognun lo enigma intende, 51Senza che chiami a interpretarlo Sfinge;
Vi si vede anco, che ciascun che ascende
Comincia a inasinir le prime membre, 54E resta umano quel che a dietro pende.
Fin che della speranza mi rimembre,
Che coi fior venne e con le prime foglie, 57E poi fuggì senza aspettar settembre;
Venne il dì che la Chiesa fu per moglie
Data a Leone, e che alle nozze vidi 60A tanti amici miei rosse le spoglie.4
↑ Dal manoscritto apparisce che il Poeta avea fatto prima: Ch’io voglio, basta che in la patria veggio, e così sta nella prima e in altre edizioni. — (Molini.)
↑La Speranza. Vedi la favola presso i mitologi. — (Molini.)
↑La ruota della Fortuna, che è così dipinta nel giuoco dei tarocchi e delle minchiate. — (Molini.)
↑Leone X fece nella prima creazione cardinali trentuno, non senza nota di avere con ciò accozzata gran somma di danari per le guerre a cui preparavasi.