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satira quinta. | 195 |
Il bisogno de’ sudditi che il mio:
198Di che obbligo gli ho quanto se gli deve.
Obbligo gli ho del buon voler, più ch’io
Mi contenti del dono; il quale è grande,
201Ma non molto conforme al mio desio.
Or se di me a questi uomini dimande,
Potrían dir che bisogno era di asprezza,
204Non di clemenza all’opre lor nefande.
Come nè in me, così nè contentezza
È forse in lor: io per me son quel gallo
207Che la gemma ha trovata e non l’apprezza.
Son come il Veneziano, a cui il cavallo
Di Mauritania, in eccellenza buono,
210Donato fu dal re di Portogallo;
Il qual, per aggradir il real dono,
Non discernendo che mistier diversi
213Volger timoni e regger briglie sono,
Sopra vi salse, e cominciò a tenersi
Con mani al legno e co’ sproni alla pancia:
216— Non vuò (seco dicea) che tu mi versi. —
Sente il cavallo pungersi e si lancia,
E ’l buon nocchier più allora preme e stringe
219Lo sprone al fianco, aguzzo più che lancia;
E di sangue la bocca e ’l fren gli tinge:
Non sa il cavallo a chi ubbidir, o a questo
222Che ’l torna addietro, o a quel che l’urta e spinge;
Pur se ne sbriga in pochi salti presto:
Rimane in terra il cavalier, col fianco,
225Con la spalla e col capo rotto e pesto.
Tutto di polve e di paura bianco
Si levò al fin, del re mal satisfatto,
228E lungamente poi se ne dolse anco.
Meglio avrebbe egli, ed io meglio avrei fatto,
Egli ’l ben del cavallo, io del paese,
231A dire: — O re, o signor, non ci son atto;
Sie pur a un altro di tal don cortese. — 1
- ↑ Questa Satira nell’autografo porta la sottoscrizione seguente: Ex Castro Novo Carfignanæ. — (Molini.)