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190 satira quinta.

27Liberamente il mio peccato accuso.
     Altri a chi lo dicessi, un occhio bieco
Mi volgerebbe addosso, e un muso stretto: —
30Guata poco cervel! — poi diría seco:
     — Degno uom da chi esser debbia un popol retto!
Uom che poco lontan da cinquant’anni,
33Vaneggi nei pensier di giovinetto. —
     E’ direbbe il vangel di san Giovanni;1
Chè se ben erro, pur non son sì losco,
36Che ’l mio error non conosca e ch’io nol danni.
     Ma che giova s’io ’l danno e s’io ’l conosco,
Se non ci posso riparar, nè truovi
39Rimedio alcun che spenga questo tôsco?
     Tu forte e saggio, che a tua posta muovi
Questi affetti da te, che in noi nascendo,
42Natura affigge con sì saldi chiovi!
     Fisse in me questo, e forse non sì orrendo,
Come in alcun c’ha di me tanta cura,
45Che non può tollerar ch’io non mi emendo;
     E fa come io so alcun che dice e giura
Che quello e questo è becco, e quanto lungo
48Sia il cimier del suo capo non misura.
     Io non uccido, io non percuoto o pungo,
Io non do noja altrui; se ben mi dolgo
51Che da chi meco è sempre, io mi dilungo:
     Perciò non dico nè a difender tolgo
Che non sia fallo il mio; ma non sì grave,
54Che di via più non ne perdoni il volgo.
     Con manco ranno il volgo, non che lave
Maggior macchia di questa, ma sovente
57Titolo al vizio di virtù dato have.
     Ermilïan2 sì del denajo ardente
Come di Alessio il Gianfa, e che lo brama
60Ogn’ora, in ogni loco, da ogni gente,
     Nè amico nè fratel nè sè stesso ama;
Uomo d’industria, uomo di grande ingegno,
63Di gran governo e gran valor si chiama.
     Gonfia Rinieri, ed ha il suo grado a sdegno;


  1. Direbbe verissimo.
  2. In questa e nelle seguenti terzine morde l’Autore, sotto vari nomi, o finti o veri, diversi uomini viziosi del suo tempo, e sotto quello di Gianfa alcuno che avesse la pecca di Coridone. — (Molini.)