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186 satira quarta.

     Nel tempo ch’era nuovo il mondo ancora,
E che inesperta era la gente prima,
210E non eran l’astuzie che sono ora;
     A piè d’un alto monte, la cui cima
Parea toccasse il cielo, un popol, quale
213Non so mostrar, vivea nella valle ima;
     Che più volte osservando la ineguale
Luna, or con corna or senza, or piena or scema,
216Girar il cielo al corso naturale;
     E credendo poter dalla suprema
Parte del monte giungervi, e vederla
219Come si accresca e come in sè si prema;
     Chi con canestro, e chi con sacco per la
Montagna, cominciâr correre in su,
222Ingordi tutti a gara di volerla.1
     Vedendo poi non esser giunti più
Vicini a lei, cadeano a terra lassi,
225Bramando in van d’esser rimasi giù.
     Quei ch’alti li vedean dai poggi bassi,
Credendo che toccassero la luna,
228Dietro venían con frettolosi passi.
     Questo monte è la ruota di Fortuna,
Nella cui cima il volgo ignaro pensa
231Ch’ogni quïete sia, nè ve n’è alcuna.
     Se nell’onor si trova nella immensa
Ricchezza il contentarsi, i’ loderei
234Non aver, se non qui, la voglia intensa:
     Ma se vediamo i papi e i re, che Dei
Stimiamo in terra, star sempre in travaglio,
237Che sia contento in lor dir non potrei.
     Se di ricchezze al Turco e s’io me agguaglio
Di dignitade al papa, ed ancor brami
240Salir più in alto, mal me ne prevaglio.2
     Convenevole è ben ch’i’ ordisca e trami
Di non patire alla vita disagio,
243Che, più di quanto ho al mondo, è ragion ch’ami.


  1. Tutte l’edizioni che ho potute consultare leggono di tenerla. Nel MS. originale l’autore fece fino dal principio di volerla, poi cancellò; indi scrisse nuovamente di volerla. — (Molini.)
  2. Spiegherei a questo luogo: male me ne avvantaggio, quanto alla mia interna Felicità.