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satira terza. | 177 |
Segua le poche e non la volgar frotta;
Nè sappia far la tua bianco nè rosso,1
231Ma sia del filo e della tela dotta.
Se tal la truovi, consigliar ti posso
Che tu la prenda: se poi cangia stile,
234E che si tiri alcun galante addosso,
O faccia altra opra enorme; e che simíle
Il frutto, in tempo di ricôr, non esca
237Ai molti fior che avea mostrato aprile;
Della tua sorte, e non di te t’incresca,
Che2 per indiligenza e poca cura
240Gusti diverso3 all’appetito l’esca.
Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
O chi fa peggio assai, che la conosce
243E pur la vuol, sia quanto voglia impura;
Se poi pentito si batte le cosce,
Altro che sè non dê imputar del fallo,
246Nè cercar compassion delle sue angosce.
Poi ch’io t’ho posto assai bene a cavallo,
Ti voglio anco mostrar come lo guidi,
249Come spinger lo dêi, come fermallo.
Tolto che moglie avrai, lascia li nidi
Degli altri, e sta sul tuo; chè qualche augello,
252Trovandol senza te, non vi si annidi.
Falle carezze, ed amala con quello
Amor che vuoi ch’ella ami te; aggradisci,
255E ciò che fa per te pajati bello.
Se pur talvolta errasse, l’ammonisci
Senz’ira, con amor; e sia assai pena,
258Che la facci arrossir senza por lisci.
Meglio con la man dolce si raffrena
Che con forza il cavallo, e meglio i cani
261Le lusinghe fan tuoi che la catena.
Questi animal che son molto più umani,
Corregger non si dên sempre con sdegno,
264Nè, al mio parer, mai con menar di mani.
Ch’ella ti sia compagna abbi disegno;
Non, come comperata per tua serva,