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satira seconda. 169

Era bisogno apparecchiar la dote
213Che le siam debitori or che si accasa.
     L’età di nostra madre1 mi percôte
Di pietà il cor, che da tutti in un tratto
216Senza infamia lasciata esser non puote.
     Io son de’ dieci il primo, e vecchio fatto
Di quaranta quattro anni, e il capo calvo
219Da un tempo in qua sotto il cuffiotto appiatto.
     La vita che mi avanza, me la salvo
Meglio ch’io so: ma tu, che diciotto anni
222Dopo me t’indugiasti a uscir dell’alvo,2
     Gli Ongari a veder torna e gli Alamanni,
Per freddo e caldo segui il signor nostro,
225Servi per amendue, rifà i miei danni.
     Il qual se vuol di calamo ed inchiostro
Di me servirsi, e non mi tôr da bomba,
228Digli: — Signore, il mio fratello è vostro. —
     Io stando qui, farò con chiara tromba
Il suo nome sônar forse tanto alto,
231Che tanto mai non si levò colomba.
     A Filo, a Cento, in Ariano e a Calto3
Arriverei, ma non sin al Danubbio,
234Ch’io non ho piè gagliardi a sì gran salto.
     Ma se a volger di nuovo avessi al subbio
I quindici anni che in servirlo ho spesi,
237Passar la Tana ancor non starei in dubbio.
     Se avermi dato onde ogni quattro mesi
Ho venticinque scudi, nè sì fermi,
240Che molte volte non mi sien contesi,
     Mi debbe incatenar, schiavo tenermi,
Obbligarmi ch’io sudi e tremi, senza
243Rispetto alcun ch’io muoja ch’io m’infermi;
     Non gli lasciate aver questa credenza:
Ditegli che più tosto ch’esser servo,
246Torrò la povertade in pazïenza.
     Uno asino fu già, che ogni osso e nervo
Mostrava di magrezza, e entrò pel rotto
249Del muro, ove di grano era uno acervo.


  1. Si suppone che avesse allora sessantacinque anni.
  2. Era nato nel 1492.
  3. Luoghi del Ferrarese, che ne disegnano i quattro lati, a mezzodì, a ponente, a levante, a settentrione. — (Barotti.)
ariosto.Op. min. — 1. 15