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166 satira seconda.

Rimesse tutte, mi tarpasse),1 come
132Che dall’amor e grazia sua mi escluda;
     Che senza fede e senza amor mi nôme,
E che dimostri con parole e cenni,
135Che in odio e che in dispetto abbia il mio nome.
     E questo fu cagion ch’io mi ritenni
Di non gli comparire innanzi mai,
138Dal dì che indarno ad escusar mi venni.
     Ruggier,2 se alla progenie tua mi fai
Sì poco grato, e nulla mi prevaglio3
141Che gli alti gesti e ’l tuo valor cantai,
     Che debbo fare io qui, poich’io non vaglio
Smembrar sulla forcina in aria starne,
144Nè so a sparvier nè a can metter guinzaglio?
     Non feci mai tai cose, e non so farne:
Agli usatti, agli spron (perch’io son grande)
147Non mi posso adattar, per porne o trarne.
     Io non ho molto gusto di vivande,
Che scalco io sia: fui degno essere al mondo
150Quando viveano gli uomini di ghiande.
     Non vuò il conto di man tôrre a Gismondo:4
Andar più a Roma in posta non accade
153A placar la grand’ira di Secondo.5


  1. Sembra alludere alle rinunzie, che il Baruffaldi dica «più sforzate che spontanee, de’ due beneficii ecclesiastici che (il poeta) godeva; l’uno di Castel San Felice, l’altro di Santa Maria in Benedellio.» Vita, pag. 177.
  2. Il noto eroe dell’Orlando Furioso, da cui l’Ariosto fa discendere gli Estensi.
  3. Con novità di costrutto, non di senso: Non traggo alcun pro.
  4. Era, probabilmente, il maestro di casa del cardinale. — (Molini.)
  5. Questo verso sembra allusivo piuttosto alla seconda che alla prima spedizione di Lodovico al pontefice Giulio II; poichè la prima eragli felicemente sortita, avendo egli ottenuto dal papa quello che i suoi signori desideravano. Ma questa forma, tanto del vero significativa, la grand’ira di Secondo, assai bene si applica all’ira conceputa da Giulio dopochè il duca Alfonso ebbe costretto i Veneziani a rendergli il forte di Legnago; gli effetti della quale, rispetto all’Ariosto, ci sono così descritti dal Baruffaldi: «Volò a Roma di nuovo..., e non avendo ivi trovato il pontefice, il quale in una sua villa di delizie soggiornava, colà recòssi immantinente. Gli storici non dicono se ottenesse udienza: se l’ottenne, fu al certo brevissima, e tutta spirante sdegno e minaccie. Tutti però si accordano nel dire che l’Ariosto corse gravissimo rischio della vita, perchè il papa aveva ordinato che fosse senz’altro gittato in mare. Virginio, il figlio, nelle sue Memorie, lo scrisse in quell’articolo — Di papa Giulio, che lo volse far trarre in mare; — Gabriele, il fratello, nel suo poemetto latino, accenna lo stesso pericolo: e non fu poco che potesse prestamente e segretamente sot-