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158 satira prima.

Se per questo più sazio non mi levo
156Di quel ch'è stato assiso a mezzo o ad imo?
     Come nè cibo, così non ricevo
Più quïete, più pace o più contento,
159Sebben di cinque mitre il capo aggrevo.1
     Felicitade istima alcun, che cento
Persone t'accompagnino a palazzo,
162E che stia il volgo a riguardarti intento:
     Io lo stimo miseria, e son sì pazzo,
Ch'io penso e dico che in Roma fumosa
165Il signore è più servo che 'l ragazzo.
     Non ha da servir questi in maggior cosa,
Che d'esser col signor quando cavalchi;
168L'altro tempo a suo senno o va o si posa.
     La maggior cura che sul cor gli calchi,
È che Fiammetta stia lontana,2 e spesso
171Causi che l'ora del tinel gli valchi.
     A questo ove gli piace è andar concesso,
Accompagnato e solo; a piè, a cavallo;
174Fermarsi in ponte, in Banchi e in chiasso appresso:
     Piglia un mantello o rosso o nero o giallo;
E se non l'ha, va in gonnellin leggiero:
177Nè questo mai gli è attribuito a fallo.
     Quell'altro, per fodrar di verde il nero
Cappel,3 lasciati ha i ricchi uffici, e tolto
180Minor util, più spesa e più pensiero.
     Ha molta gente a pascere, e non molto
Da spender; chè alle bolle è già obbligato
183Del primo e del secondo anno il ricolto:4
     E del debito antico uno è passato,
Ed uno, e al terzo termine si aspetta
186Esser sul muro in pubblico attaccato.5




  1. Allusione all'abuso allora corrente di cumulare in un solo più vescovadi.
  2. Abiti lontano; e la lontananza dell'amata sia cagione ch'egli non arrivi in tempo al desinare.
  3. Per divenir vescovo. — (Molini.)
  4. Intende le somme che suole esigere la datería romana nella collazione dei benefizi, le quali ordinariamente equivalgono alla rendita di uno o due anni. — (Molini.)
  5. Quando uno è renitente a pagar quel tributo, viene avvisato due volte a certi intervalli; la terza, è scomunicato, e per tale fatto conoscere al pubblico con un affisso. — (Molini.)