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146 stanze.

Voi veggio, con voi parlo e voi sempre odo;
Son con voi sempre e di voi sempre godo.
3 Dunque, se ’l cor sempre vi vede e tocca,
Che mi può dar di più l’occhio o la mano?
S’egli parla con voi, che s’ha la bocca,
O l’orecchio a doler, che sia lontano?
Voi sête in me; ed io son quella rôcca
Della qual trarvi ogni disegno è vano;
Che la difende Amor la notte e ’l giorno,
E con foco e con strali entro e d’intorno.
4 Deh quanto, ahimè, quanto sarei felice,
Che piacer saría ’l mio, che gaudio immenso,
Se ciò che la ragion discorre e dice,
Dicesse ancora ed approvasse il senso?
Ma che n’ha egli a far, se nulla lice
A lui gioir di tanto ben ch’io penso?
Quante cose in disegno, oimè, son belle,
Che poste in prova poi non son più quelle!
5 Che li miei sensi di voi privi sieno
Pur patirei, se ben non volentieri;
E forse ancora volentier, se almeno
Fossino i gaudî della mente intieri;
Che come gli occhi e il bel viso sereno,
Così vedessi ancor vostri pensieri;
Sì che fossi sicur che tal foss’io
Nel vostro cor, qual voi siete nel mio.
6 Se sculto avesse Amor ne’ pensier miei
Vostro pensier, come v’ha il viso sculto,
Ancor ch’io creda che lo troverei
Palese tal, qual io lo stimo occulto;
Pur sì sicur da gelosía sarei,
Che ad or ad or non vi farebbe insulto,
E dove appena or è da me respinta,
Rimarría morta, o rotta almeno e vinta.
7 Son simile all’avar, c’ha il cor sì intento
Al suo tesoro e sì ve l’ha sepolto,
Che non ne può lontan viver contento,
Nè non sempre temer che gli sia tolto.
Qualor, Madonna, io non vi veggio o sento,
Sono in mille timor subito involto;
E benchè tutti vani esser li creda,
Non posso far di non mi dargli in preda.