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130 stanze.

Ma in riva al Mincio un santo Leon rugge;
Ed esso vede armato Paolo e Pietro,
Che lo minaccian se non torna indietro.

24 Partonsi gli Unni; ed ecco Genserico,
Che passa il mar co’ Vandali, ed assale,
Di Dio, de’ Santi e d’uomini nemico,
Roma infelice, e le fa tutto il male.
Viene Odoacro e poi vien Teodorico:
Italia il giogo ricusar non vale,
Che al collo l’han non pur gli uomini messo.
Ma per più scorno ancora il debil sesso.1

25 Giustinïano, vien, che par che mande
Belisario in Italia, e nel passaggio,
Che pigli la Sicilia gli comande.
Èvvi come eseguisse: e di vantaggio
Napoli prende, e lo saccheggia, e grande
Uccisïone appar per quel viaggio:
Èvvi com’entra in Roma, e sì l’offende,
Che i bei palazzi e ricchi templi incende.

26 Esce fuor Belisario; i Goti dànno
Le spalle, ed a Ravenna poi fan testa.
Belisario la prende; i Goti vanno
A fil di spada, e ’l re captivo resta.
Totila poi successe al real scanno:
Arde e distrugge, e sì l’Italia infesta,
Che flagello di Dio vien detto, come
Attila prima; e ben conviengli il nome.

27 Benevento arde, e Napoli saccheggia;
Fra un mare e l’altro ogni città si rende:
Si volta a Roma, e d’ogn’intorno asseggia,2
E con la fame in tal modo l’offende,
Che ’l popol, che non sa come proveggia,
L’un l’altro mangia; all’ultimo la prende,
E presa mette, senza guardar loco
Sacro o profano, a sacco, a ferro, a fôco.

28 Giustinïan manda di nuovo il greco
Esercito, e ne fa Narsete guida;
Che par che, tolti i Longobardi seco,


  1. Sembra allusione alla imperatrice Teodora.
  2. Per la rima, invece di Assedia; come i più antichi avevano, in prosa, usato Asseggio. Vedi anche la st. 57.