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128 stanze.

Di Lateran, quando alla messa uscire
Volea l’imperador, veduti furo;
Il qual miròlli, e quanto avea a seguire
Della partita sua, non gli fu oscuro;
Che per note minute, oltre il dipinto,
Di tempo in tempo tutto era distinto.

15 Le guerre che in Italia dovean farsi,
Tutte vi si vedean, come già fatte:
Umbri, Piceni, Insubri, Apuli e Marsi,
Morti e captivi, e le città disfatte;
Roma presa più volte, e li templi arsi
E l’alte moli, e non mai più rifatte,
Da genti strane, ch’a que’ tempi, come
Già detto v’ho, non pur si sapéa il nome.

16 Questo intendendo Costantin, fu alquanto
Fra voler ire e rimaner sospeso:
Ma li maligni cherci, che già quanto
Era util lor ch’andasse avean compreso
(Però che quanto egli lasciava, tanto
Da lor sarebbe in pochi giorni preso,1
Creder gli fêr che tutte illusïoni
Erano false, ed opre di demonî;

17 I quali, per turbare il ben, la pace,
La maestà e la gloria dell’impero,
S’aveano immaginato, con mendace
Spavento, di mutarlo di pensiero.
Così l’imperador dalla fallace
Suasïon del tralignato clero,
In Grecia trasferì il seggio romano,
Lasciando i scudi al tempio Laterano.

18 Volgendo gli anni poi successe quello
Che fu pur ver, senza mancarne dramma;
Che Alarico, e poi Totila, flagello
Detto di Dio, diè Roma a sacco e a fiamma:
Gli scudi appresso, e l’altro arnese bello
In preda andâr, nè se ne salvò lamma,2
Fuor che d’un sol, che non fosse disfatta
Indi in moneta, e in altro uso ritratta.


  1. Notabile opinione come uno dei criteri sulla storia d’Italia vigenti fin dai tempi dell’Ariosto.
  2. Per licenza poetica, in vece di Lama, nel senso di Piastra metallica.